domenica 9 febbraio 2014
Pedalare in città: una tendenza senza freni
Verrà un tempo in cui avere una bicicletta con dei freni non sarà più così fuori moda.
Verrà un tempo in cui le bici da pista avranno in Italia qualche velodromo per potersi esprimere per ciò che sono.
Verrà un tempo in cui anche anche le città italiane scopriranno che la mobilità su due ruote può essere un fenomeno di sviluppo.
Mentre aspettiamo, guardiamo questo piccolo documento sulle tendenze del pedale urbano nel nostro paese. La giudico una apprezzabile pillola di aggiornamento sullo stato dell'arte.
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lunedì 3 febbraio 2014
Dalla nostra inviata a Copenaghen
Come ormai tradizione, anche quest'anno Ciclopico intende fare la sua parte continuando a sostenere la mirabile causa del ciclismo urbano invernale.
Quando neve e ghiaccio rallentano il già poco scorrevole traffico cittadino, giunge il momento di accantonare le improduttive timidezze. Inforcate la vostra bicicletta e sfidate luoghi comuni e atteggiamenti benpensanti.
Vedrete che il gelo aiuterà a forgiare il vostro carattere, aprendolo a nuovi slanci di umanità.
E ricordate: la sensazione di freddo è solo uno stato mentale. Se la avvertite pedalate con maggiore intensità e la prossima volta copritevi meglio.
Ma visto che le mie accorate esortazioni potrebbero non aver convinto i più scettici, cedo senza indugio il collegamento alla nostra inviata da Copenaghen per un contributo giornalistico fortemente motivazionale.
A te, Sanne Olsen.
Quando neve e ghiaccio rallentano il già poco scorrevole traffico cittadino, giunge il momento di accantonare le improduttive timidezze. Inforcate la vostra bicicletta e sfidate luoghi comuni e atteggiamenti benpensanti.
Vedrete che il gelo aiuterà a forgiare il vostro carattere, aprendolo a nuovi slanci di umanità.
E ricordate: la sensazione di freddo è solo uno stato mentale. Se la avvertite pedalate con maggiore intensità e la prossima volta copritevi meglio.
Ma visto che le mie accorate esortazioni potrebbero non aver convinto i più scettici, cedo senza indugio il collegamento alla nostra inviata da Copenaghen per un contributo giornalistico fortemente motivazionale.
A te, Sanne Olsen.
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lunedì 2 settembre 2013
Consigli di lettura: Il Giro d'Italia - dai pionieri agli anni d'oro
Che frustrazione guardo mi accorgo di parlare
a qualche amico dell’unicità del ciclismo come fenomeno che va al di là dello
sport e avverto nell’interlocutore chiari segni di distanza e scetticismo.
Che piacere, per contro, imbattersi in un libro che
affronta invece la storia del Giro d’Italia, ma potremmo dire del ciclismo
italiano, senza dimenticare di
contestualizzarla nell'evoluzione del Paese, del suo costume, della sua
società.
Il viaggio di Mimmo Franzinelli inizia nei primi anni del
Novecento con le competizioni degli albori. I Gerbi, Rossignoli, Pavesi
raccontati a suo tempo in “Addio, bicicletta” da Gianni Brera vengono ripresi
per rappresentare l’inizio del ciclismo agonistico italiano. Arrivano poi i
mattatori Girardengo, Binda e Guerra oltre all’italiano da esportazione Ottavio
Bottecchia, primo pedalatore nostrano a trionfare al Tour de France.
Si attraversa il ventennio fascista mentre nascono
i miti di Bartali e Coppi.
L’Italia sa arrangiarsi e ricostruirsi. Dopo
lo stop imposto dalla Seconda Guerra Mondiale, già nel 1946 il Giro riprende
(con un anno di anticipo rispetto al Tour) e viene reinventato. Merito di
Vincenzo Torriani che nel ’48 riceve il testimone dal patron Cougnet.
La figura di Torriani è in effetti centrale
nel lavoro di Franzinelli per descrivere la grande epopea del Giro d’Italia dal dopoguerra fino agli anni
Novanta. Un esempio, quello dell'organizzatore, di intelligenza e creatività funzionale a uno scopo: fare
della Corsa Rosa non solo un evento sportivo di primaria grandezza ma
un’occasione di crescita economica per le imprese e di promozione per i vari
territori attraversati. La verve visionaria di Torriani rende il Giro sempre innovativo
nelle scelte del percorso e contribuisce a costruire l’aura mitica di molti
corridori, costretti a confrontarsi in tappe per le quali si spende con
facilità l’aggettivo “epiche”.
Si sussegnono protagonisti, dominatori, fasi
di interregno.
Cambiano gli sponsor sulle maglie delle
squadre, prima di squisito ambito ciclistico e, da Magni in poi, aperte ad ogni
settore dell’industria. Tra maggio e giugno ogni anno l’Italia scandisce i suoi
attimi con la Corsa Rosa, sui percorsi di gara come nelle piazze che accolgono
i primi stand pubblicitari e gli eventi collaterali. Si muove il mondo dello
spettacolo con esperienze come il Cantagiro.
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lunedì 29 aprile 2013
Ah, le Girò!
Sabato parte il Giro. Quarant'anni fa i favoriti erano più o meno questi simpatici gigioni.
Che tempi, quelli!
Che tempi, quelli!
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domenica 24 marzo 2013
Per fortuna arriva aprile
Mancano pochi giorni all'inizio del mese consacrato alle classiche del nord. Un rosario di appuntamenti sportivi la cui solennità non può e non deve essere funestata da ridicoli impegni famigliari domenicali, da insulse passeggiatine primaverili, da procrastinabili grigliate con amici insensibili al richiamo del pedale e, come tali, di dubbie virtù morali.
Fiandre e Roubaix vanno accolti davanti al televisore con religiosa deferenza. Sono ammesse unicamente compagnie competenti in materia ciclistica o seriamente intenzionate ad accrescerne la conoscenza.
Disturbatori e guastatori vanno per contro cacciati senza timidezze.
Nel caso però il vostro amore per fiandre e ardenne sia ormai conclamato al punto da voler provare l'ebbrezza di sobbalzare sui ciottoli e di mangiare polvere in mezzo alla campagna nordica vi consiglio di prendere in considerazione l'ipotesi di una vacanza sportiva ad hoc.
Sono ormai diverse le aziende e i tour operator che propongono esperienze attive pedalando lungo le strade di cui solo i ciclisti appassionati conoscono il profondo significato. Aremberg, Carrefour de l'Arbre, Grammont sono lì che vi aspettano.
Guardate questo golosissimo video prodotto da Pavé Cycling Classic, uno degli operatori specializzati in vacanze a tutta bici lungo le strade di Belgio e Francia del nord. Immaginatevi fin d'ora sulla vostra bici da corsa, impegnati a contrastare le mille vibrazioni del manubrio percorrendo vie secondarie battute dal vento.
E che il fango sia con voi!
Fiandre e Roubaix vanno accolti davanti al televisore con religiosa deferenza. Sono ammesse unicamente compagnie competenti in materia ciclistica o seriamente intenzionate ad accrescerne la conoscenza.
Disturbatori e guastatori vanno per contro cacciati senza timidezze.
Nel caso però il vostro amore per fiandre e ardenne sia ormai conclamato al punto da voler provare l'ebbrezza di sobbalzare sui ciottoli e di mangiare polvere in mezzo alla campagna nordica vi consiglio di prendere in considerazione l'ipotesi di una vacanza sportiva ad hoc.
Sono ormai diverse le aziende e i tour operator che propongono esperienze attive pedalando lungo le strade di cui solo i ciclisti appassionati conoscono il profondo significato. Aremberg, Carrefour de l'Arbre, Grammont sono lì che vi aspettano.
Guardate questo golosissimo video prodotto da Pavé Cycling Classic, uno degli operatori specializzati in vacanze a tutta bici lungo le strade di Belgio e Francia del nord. Immaginatevi fin d'ora sulla vostra bici da corsa, impegnati a contrastare le mille vibrazioni del manubrio percorrendo vie secondarie battute dal vento.
E che il fango sia con voi!
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mercoledì 20 marzo 2013
Le buone azioni di London Cycling Campaign
Saranno la crisi, da un lato, e la progressiva presa di coscienza sul fatto che serve una brusca sterzata per non finire nel burrone sociale ed economico, dall'altro lato, ma sta di fatto che succedono cose interessanti in giro per mondo.
Intendo, in questo caso, cose che riguardano i ciclisti e la mobilità intelligiente.
Prendete Londra.
London Cycling Campaign è un'organizzazione no-profit che lavora per dare voce a 11.000 ciclisti urbani orgogliosamente associati. Il diritto a una mobilità sicura sulle due ruote è un cardine della loro azione. Vogliono che la loro città (o meglio megalopoli) diventi più vivibile e pulita. Ci sanno fare e con la loro influenza, cresciuta in anni di attività, hanno contribuito a far raddoppiare gli spostamenti urbani in bicicletta negli ultimi dieci anni.
Le campagne di sensibilizzazione e le provocazioni che portano avanti sono accattivanti. Tra queste una delle ultime è quella che vuole spingere i costruttori di veicoli pesanti a ripensare la progettazione dei mezzi destinati al trasporto di merci in città.
Come spiega un interessante articolo apparso sul sito on-line del Guardian, sono infatti troppi gli incidenti provocati da autocarri che vedono coivolte le biciclette. Basti pensare che il traffico londinese è caratterizzato dalla presenza di un 5% di mezzi di trasporto pesante ma che questo segmento provoca circa il 50% degli incidenti che interessano i ciclisti. Nel 2011 ben 16 di loro hanno perso la vita.
La London Cycling Campaign ha quindi tracciato alcuni suggerimenti per la progettazione dei nuovi veicoli, sintetizzabili come segue:
1 - maggiore superficie vetrata dell'abitacolo per consentire una migliore valutazione del traffico, specie di quello laterale
2 - abbassamento dell'altezza fisica di guida per diminuire la percezione di "onnipotenza" dell'autotrasportatore, salvaguardando il livello di attenzione verso pedoni e ciclisti.
Per meglio spiegarvi queste soluzioni tecniche, ecco un rendering allestito dall'organizzazione che mette a confronto un autocarro tradizionale con quello "dei sogni":
Se l'iniziativa vi sembra velleitaria e se credete che sarà ricevuta dai costruttori con un candido sbadiglio, vorrei sottolineare che in passato la politica tambureggiante di London Cycling Campaign è stata fondamentale per far crescere gli investimenti pubblici a sostegno della mobilità in bicicletta dai 2 milioni di sterline del 1990 agli attuali 100 milioni.
Morale: la massa critica fa la differenza e cambiare si può.
Intendo, in questo caso, cose che riguardano i ciclisti e la mobilità intelligiente.
Prendete Londra.
London Cycling Campaign è un'organizzazione no-profit che lavora per dare voce a 11.000 ciclisti urbani orgogliosamente associati. Il diritto a una mobilità sicura sulle due ruote è un cardine della loro azione. Vogliono che la loro città (o meglio megalopoli) diventi più vivibile e pulita. Ci sanno fare e con la loro influenza, cresciuta in anni di attività, hanno contribuito a far raddoppiare gli spostamenti urbani in bicicletta negli ultimi dieci anni.
Le campagne di sensibilizzazione e le provocazioni che portano avanti sono accattivanti. Tra queste una delle ultime è quella che vuole spingere i costruttori di veicoli pesanti a ripensare la progettazione dei mezzi destinati al trasporto di merci in città.
Come spiega un interessante articolo apparso sul sito on-line del Guardian, sono infatti troppi gli incidenti provocati da autocarri che vedono coivolte le biciclette. Basti pensare che il traffico londinese è caratterizzato dalla presenza di un 5% di mezzi di trasporto pesante ma che questo segmento provoca circa il 50% degli incidenti che interessano i ciclisti. Nel 2011 ben 16 di loro hanno perso la vita.
La London Cycling Campaign ha quindi tracciato alcuni suggerimenti per la progettazione dei nuovi veicoli, sintetizzabili come segue:
1 - maggiore superficie vetrata dell'abitacolo per consentire una migliore valutazione del traffico, specie di quello laterale
2 - abbassamento dell'altezza fisica di guida per diminuire la percezione di "onnipotenza" dell'autotrasportatore, salvaguardando il livello di attenzione verso pedoni e ciclisti.
Per meglio spiegarvi queste soluzioni tecniche, ecco un rendering allestito dall'organizzazione che mette a confronto un autocarro tradizionale con quello "dei sogni":
Se l'iniziativa vi sembra velleitaria e se credete che sarà ricevuta dai costruttori con un candido sbadiglio, vorrei sottolineare che in passato la politica tambureggiante di London Cycling Campaign è stata fondamentale per far crescere gli investimenti pubblici a sostegno della mobilità in bicicletta dai 2 milioni di sterline del 1990 agli attuali 100 milioni.
Morale: la massa critica fa la differenza e cambiare si può.
mercoledì 23 gennaio 2013
Ci serve più luce!
Come ormai è tradizione, Ciclopico a gennaio promuove la pratica del ciclismo urbano invernale.
Non smettete di credere che sia possibile praticarlo. Ve lo scrivo dalla mia casetta ai piedi di una ridente vallata delle Alpi Cozie, attualmente sommersa dalla neve.
Che sia un fatto di convinzione e di abitudine l'ho già sottolineato. La questione che invece non abbiamo ancora affrontato è quella legata alla sicurezza.
Il numero limitato delle ore di luce, caratteristico dell'inverno, aumenta di molto i rischi della mobilità su due ruote. Il maggior numero di incidenti che coinvolgono ciclisti si registra infatti nel periodo compreso tra settembre e febbraio, come evidenzia questa interessante infografica commissionata da Arrow Europe, azienda produttrice di soluzioni di illuminazione a led.
La scarsa cultura ciclistica degli italiani si accoppia purtroppo perfettamente con l'altrettanto deficitaria cultura della sicurezza. Eccoli due degli innumerevoli ritardi che inquadrano l'Italia come un paese arretrato, perlomeno più di quanto i propri abitanti spesso non lo percepiscano.
Ben il 65% degli incidenti che vedono coivolti i ciclisti, guarda caso, sono riconducibili a carenze sul fronte della sicurezza. Certo, l'atavica insufficienza di piste ciclabili nelle nostre città contribuisce a generare pericoli ma non giustifica i comportamenti dei singoli.
L'equipaggiamento è tutto e i dispositivi di segnalazione oggi in commercio sono sicuramente più performanti di quelli del passato.
Le bande e i giubbotti riflettenti, obbligatori dopo il tramonto come sancisce il codice della strada, rimangono ancora un fronzolo per molti ciclisti. Lo stesso discorso vale per le luci lampeggianti anteriori e posteriori.
Ecco spiegato perchè articoli di largo consumo in paesi come Germania, Danimarca e Olanda risultano essere degli oggetti misteriosi se mostrati alla maggior parte dei pedalatori urbani italiani. Volete un esempio?
Escludendo i cicloturisti esperti, pochi apprezzano i dynamo hub come questo.
La dinamo che produce illuminazione è un tutt'uno con il pignone della ruota anteriore. Si aziona generalmente con un comando al manubrio e assicura risultati di alto livello, aumentando ovviamente la sicurezza complessiva del mezzo.
Sono molti i dispositivi di questo tipo in commercio ma sono, per contro, pochissimi i negozi che in Italia possono dirsi in grado di proporre in pronta consegna sistemi di illuminazione così evoluti.
I prezzi delle dynamo hub partono dai 70/80 euro, che possono sembrare parecchi.
Ma parliamo di sicurezza e se si vuole speculare su qualcosa, lo si faccia su altri cicloaccessori meno fondamentali anche se più modaioli.
E chissà che non si possa contribuire a far diventare piacevolmente trendy una ruota con la dinamo nel pignone.
Non smettete di credere che sia possibile praticarlo. Ve lo scrivo dalla mia casetta ai piedi di una ridente vallata delle Alpi Cozie, attualmente sommersa dalla neve.
Che sia un fatto di convinzione e di abitudine l'ho già sottolineato. La questione che invece non abbiamo ancora affrontato è quella legata alla sicurezza.
Il numero limitato delle ore di luce, caratteristico dell'inverno, aumenta di molto i rischi della mobilità su due ruote. Il maggior numero di incidenti che coinvolgono ciclisti si registra infatti nel periodo compreso tra settembre e febbraio, come evidenzia questa interessante infografica commissionata da Arrow Europe, azienda produttrice di soluzioni di illuminazione a led.
La scarsa cultura ciclistica degli italiani si accoppia purtroppo perfettamente con l'altrettanto deficitaria cultura della sicurezza. Eccoli due degli innumerevoli ritardi che inquadrano l'Italia come un paese arretrato, perlomeno più di quanto i propri abitanti spesso non lo percepiscano.
Ben il 65% degli incidenti che vedono coivolti i ciclisti, guarda caso, sono riconducibili a carenze sul fronte della sicurezza. Certo, l'atavica insufficienza di piste ciclabili nelle nostre città contribuisce a generare pericoli ma non giustifica i comportamenti dei singoli.
L'equipaggiamento è tutto e i dispositivi di segnalazione oggi in commercio sono sicuramente più performanti di quelli del passato.
Le bande e i giubbotti riflettenti, obbligatori dopo il tramonto come sancisce il codice della strada, rimangono ancora un fronzolo per molti ciclisti. Lo stesso discorso vale per le luci lampeggianti anteriori e posteriori.
Ecco spiegato perchè articoli di largo consumo in paesi come Germania, Danimarca e Olanda risultano essere degli oggetti misteriosi se mostrati alla maggior parte dei pedalatori urbani italiani. Volete un esempio?
Escludendo i cicloturisti esperti, pochi apprezzano i dynamo hub come questo.
La dinamo che produce illuminazione è un tutt'uno con il pignone della ruota anteriore. Si aziona generalmente con un comando al manubrio e assicura risultati di alto livello, aumentando ovviamente la sicurezza complessiva del mezzo.
Sono molti i dispositivi di questo tipo in commercio ma sono, per contro, pochissimi i negozi che in Italia possono dirsi in grado di proporre in pronta consegna sistemi di illuminazione così evoluti.
I prezzi delle dynamo hub partono dai 70/80 euro, che possono sembrare parecchi.
Ma parliamo di sicurezza e se si vuole speculare su qualcosa, lo si faccia su altri cicloaccessori meno fondamentali anche se più modaioli.
E chissà che non si possa contribuire a far diventare piacevolmente trendy una ruota con la dinamo nel pignone.
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martedì 15 gennaio 2013
L'uomo che viveva sulla sua bici
Guillaume Blanchet pedala. E intanto vive.
Il suo corto, girato con una action camera GoPro Hero, ha partecipato a decine di festival vincendone anche alcuni.
Si tratta del brodo granulare concentratissimo di 482 giorni passati a mulinare senza tregua in giro per Montreal.
Il film è un atto d'amore, verso la bicicletta come appendice della propria esistenza e verso il padre, dal quale Guillaume ha ereditato la passione per la bicicletta.
THE MAN WHO LIVED ON HIS BIKE from Guillaume Blanchet on Vimeo.
Il suo corto, girato con una action camera GoPro Hero, ha partecipato a decine di festival vincendone anche alcuni.
Si tratta del brodo granulare concentratissimo di 482 giorni passati a mulinare senza tregua in giro per Montreal.
Il film è un atto d'amore, verso la bicicletta come appendice della propria esistenza e verso il padre, dal quale Guillaume ha ereditato la passione per la bicicletta.
THE MAN WHO LIVED ON HIS BIKE from Guillaume Blanchet on Vimeo.
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giovedì 6 dicembre 2012
Sostiene Gios
Nel 1971 Giorgio Perfetti, titolare dell'omonima industria dolciaria, rimane colpito dalla curiosa arditezza di una bicicletta chiamata Easy Rider, che nelle forme fa dichiaratamente il verso ai chopper dell'omonimo film.
A produrle è la Gios di Torino, azienda famigliare nata nel 1948 e già da tempo apprezzata nel mondo delle competizioni ciclistiche.
Ancora oggi che il marchio Gios è seguito dalla terza generazione famigliare, rappresentata dal figlio Marco, viene giustamente difeso ed esaltato il bagaglio di esperienza e tradizione acquisito in oltre 60 anni di attività.
Aldo Gios, ancora oggi attivo in azienda, ha anche redatto un suo personale decalogo. Un insieme di regole costruttive e filosofiche sul quale si può innescare un bel dibattito ma che, comunque la si pensi, merita interesse in quanto composto da uno dei grandi maestri costruttori che hanno reso la bicicletta da corsa italiana un oggetto venerato dagli appossionati di tutto il mondo.
Alcuni punti del Gios-pensiero ci aiutano ad introdurre uno dei temi forti dei prossimi mesi: i telai d'acciaio segneranno un ritorno o rimarranno un articolo per nostalgici, collezionisti e palati fini piuttosto snob?
Nel prepararvi a passare notti insonni, turbati da questa spiazzante domanda, vogliate intanto leggere con cura le tavole della legge:
A produrle è la Gios di Torino, azienda famigliare nata nel 1948 e già da tempo apprezzata nel mondo delle competizioni ciclistiche.
Perfetti ordina una serie di Easy Rider da mettere in palio in un concorso abbinato ai chewing-gum Brooklin, prodotto di successo in quegli anni.
Nasce una collaborazione felice che porterà l'anno successivo alla nascita della mitica squadra professionistica Brooklin, formazione che con le biciclette Gios conseguirà fino al 1977 vittorie di prestigio a Sanremo come a Roubaix, al Giro delle Fiandre come al Mondiale di ciclocross.
Ancora oggi che il marchio Gios è seguito dalla terza generazione famigliare, rappresentata dal figlio Marco, viene giustamente difeso ed esaltato il bagaglio di esperienza e tradizione acquisito in oltre 60 anni di attività.
Aldo Gios, ancora oggi attivo in azienda, ha anche redatto un suo personale decalogo. Un insieme di regole costruttive e filosofiche sul quale si può innescare un bel dibattito ma che, comunque la si pensi, merita interesse in quanto composto da uno dei grandi maestri costruttori che hanno reso la bicicletta da corsa italiana un oggetto venerato dagli appossionati di tutto il mondo.
Alcuni punti del Gios-pensiero ci aiutano ad introdurre uno dei temi forti dei prossimi mesi: i telai d'acciaio segneranno un ritorno o rimarranno un articolo per nostalgici, collezionisti e palati fini piuttosto snob?
Nel prepararvi a passare notti insonni, turbati da questa spiazzante domanda, vogliate intanto leggere con cura le tavole della legge:
- Una bicicletta che in discesa segue la traiettoria impostata è una bicicletta perfetta
- In una bicicletta da corsa è più importane mezzo grado nella costruzione del telaio che mezzo chilo
- Sono più importanti 20 gammi in meno sulle ruote che 500 grammi sul telaio
- In un telaio i tubi sono come gli ingredienti in un buon piatto, sono importanti ma dipende sempre dal cuoco
- Una bicicletta da corsa deve essere assolutamente su misura. Le scarpe non esistono S, M, L o XL
- La bicicletta è un patrimonio della cultura italiana. Difendiamolo.
- Una bici d’acciaio è come una moneta d’oro, mantiene il suo valore nel tempo
- Il telaio è il cuore della bicicletta. Spesso viene mascherato con un gruppo ottimo, ma diventa come una persona di aspetto gradevole ma con il cuore malato
- Questo è il mio pensiero (quello di Aldo Gios, ndr), che non pretende assolutamente di essere assoluto. E’ sempicemente la filosofia nella quale crediamo e che applichiamo ai nostri prodotti
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martedì 23 ottobre 2012
Le bici elettriche sono sempre più belle
L'evoluzione del design applicato alle due ruote avvalora una tesi: la bicicletta continua ad essere il mezzo di trasporto più moderno che ci sia.
Faraday ha presentato la sua Porteur elettrica, in commercio dalla primavera 2013 ma per la quale il marchio californiano sta già raccogliendo gli ordinativi attraverso il suo sito.
Design ispirato alle bici da lavoro europee anni '50, soluzioni innovative, componentistica di raffinata tecnologia. Un mix che fanno di questo primo articolo della giovane Faraday una gemma così bella da farti sbavare.
Anche sulle hills di San Francisco la Porteur si destreggia senza problemi. Meglio di qualunque mezzo motorizzato per muoversi in città in maniera intelligente.
Se vogliamo trovarle un difetto possiamo dire che il prezzo di 3.800 dollari non la rende propriamente accessibile alle masse.
Tralasciando il costo, non credo comunque che la vedremo molto presto in giro per le strade italiane.
Di certo però, e non solo grazie a Faraday, l'evoluzione della bicicletta elettrica sta scrivendo pagine nuove e accattivanti preparandosi a ridefinire un segmento di mercato dai contorni ancora molto labili.
Le due ruote elettriche stanno oggi all'universo della bici come il tablet sta a quello dell'informatica di consumo. Eccitante sarà assistere a come continua la storia.
Faraday ha presentato la sua Porteur elettrica, in commercio dalla primavera 2013 ma per la quale il marchio californiano sta già raccogliendo gli ordinativi attraverso il suo sito.
Design ispirato alle bici da lavoro europee anni '50, soluzioni innovative, componentistica di raffinata tecnologia. Un mix che fanno di questo primo articolo della giovane Faraday una gemma così bella da farti sbavare.
Anche sulle hills di San Francisco la Porteur si destreggia senza problemi. Meglio di qualunque mezzo motorizzato per muoversi in città in maniera intelligente.
Se vogliamo trovarle un difetto possiamo dire che il prezzo di 3.800 dollari non la rende propriamente accessibile alle masse.
Tralasciando il costo, non credo comunque che la vedremo molto presto in giro per le strade italiane.
Di certo però, e non solo grazie a Faraday, l'evoluzione della bicicletta elettrica sta scrivendo pagine nuove e accattivanti preparandosi a ridefinire un segmento di mercato dai contorni ancora molto labili.
Le due ruote elettriche stanno oggi all'universo della bici come il tablet sta a quello dell'informatica di consumo. Eccitante sarà assistere a come continua la storia.
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lunedì 15 ottobre 2012
Bianchi Minivelo: perchè a noi no?
Vorrei presentarvi una selezione di city-bike della Bianchi.
Ah, l'originalone!, direte voi.
Calma. Non sottovalutate il fatto che il marchio Bianchi è senza dubbio una potenza industriale a livello mondiale nel settore della bicicletta. L'internazionalizzazione del suo business, preceduta da quella della sua fama, è da tempo conclamata.
Anche il suo amministratore delegato esprime in fondo questa impronta globale.
A più di un appassionato fra quelli che hanno assistito alle celebrazioni per i 70 anni di Felice Gimondi avrà fatto in fondo uno strano effetto sentire l'oriundo Bob Ippolito omaggiare il campione con una spiccata pronuncia da cugino d'America.
E come succede ad ogni grande gruppo presente su mercati di diversi continenti, anche la Bianchi ha differenziato la propria offerta adattandola a quelli che ritiene essere i diversi gusti e le differenti propensioni d'acquisto nelle varie aree geografiche.
Ho iniziato la mia indagine perchè ero curioso di scoprire se il design del nostro primo marchio di biciclette potesse offrirmi qualche sorpresa fuori dallo stivale. Non parlo degli articoli corsa e MTB. Pur nella loro indiscutibile bellezza, non credo ci sia molto da aggiungere e non è di certo questo il blog interessato a recensire o a comparare articoli muscolari di quel tipo.
Ben più intrigante è andare a rovistare nei segmenti delle city-bike e di altri prodotti più trasversali. E' in questo bacino piuttosto ampio che si riscontrano le differenze maggiori tra diverse tradizioni costruttive, ancora oggi non così comunicanti tra di loro.
Su questo fronte, mi spiace ribadirlo, l'Italia non è particolarmente all'avanguardia. Sembra che la proverbiale creatività nostrana abbia trovato una zona d'ombra nello sviluppo di nuove biciclette da città, da viaggio o comunque da "scelta filosofica di mobilità intelligente". Rare le proposte originali, poca la voglia di osare, troppa la ripetitività.
Fiutando le tracce sul web, è stato però molto significativo scoprire come in realtà non sia quella italiana una mancanza di idee stilistiche (e c'era da scommetterci!) ma una pianificazione commerciale che sembra orientare la scelta del consumatore su una gamma di disegni e soluzioni tecniche piuttosto compressa.
Per farla breve, se torniamo a parlare di Bianchi, mentre noi continuiamo a sciropparci le city-bike Spillo in tutti i loro restyling, guardate un po' in Giappone cosa propone la gloriosa fabbrica lombarda:
Questi sono quattro modelli Bianchi Minivelo, urbanissimi e molto vintage. Io li trovo semplicemente magnifici e vi invito a osservarli un po' più da vicino facendo una visitina al sito in salsa nipponica del nostro prestigioso marchio.
Sappiate fin d'ora che non sono gli unici articoli degni di nota. Troverete delle bici pieghevoli dal look aggressivo e anche una demi-course con telaio d'acciaio chiamata Ancora, tanto bella da poter quasi rivaleggiare con una Pashley Clubman Sport.
Quando l'ho vista ho quasi versato una lacrinuccia chiedendomi: "perchè a noi no?"
Lancio a questo punto un duplice appello.
1- Ai lettori chiedo di diffondere la segnalazione dell'esistenza di queste Bianchi in salsa wasabi affinché altri appassionati possano apprezzarle stupendosi dell'esistenza di un inaspettato giacimento di creatività.
2- Alla Bianchi avanzo la proposta che, qualora il raggiungimento di una massa critica decente imponga in futuro nuove scelte aziendali orientate al lancio italiano dei suddetti velocipedi, uno di questi mi venga donato senza indugio, in segno di amichevole gratitudine per la pionieristica attenzione dimostrata.
Uno speranzoso saluto a tutti.
Ah, l'originalone!, direte voi.
Calma. Non sottovalutate il fatto che il marchio Bianchi è senza dubbio una potenza industriale a livello mondiale nel settore della bicicletta. L'internazionalizzazione del suo business, preceduta da quella della sua fama, è da tempo conclamata.
Anche il suo amministratore delegato esprime in fondo questa impronta globale.
A più di un appassionato fra quelli che hanno assistito alle celebrazioni per i 70 anni di Felice Gimondi avrà fatto in fondo uno strano effetto sentire l'oriundo Bob Ippolito omaggiare il campione con una spiccata pronuncia da cugino d'America.
E come succede ad ogni grande gruppo presente su mercati di diversi continenti, anche la Bianchi ha differenziato la propria offerta adattandola a quelli che ritiene essere i diversi gusti e le differenti propensioni d'acquisto nelle varie aree geografiche.
Ho iniziato la mia indagine perchè ero curioso di scoprire se il design del nostro primo marchio di biciclette potesse offrirmi qualche sorpresa fuori dallo stivale. Non parlo degli articoli corsa e MTB. Pur nella loro indiscutibile bellezza, non credo ci sia molto da aggiungere e non è di certo questo il blog interessato a recensire o a comparare articoli muscolari di quel tipo.
Ben più intrigante è andare a rovistare nei segmenti delle city-bike e di altri prodotti più trasversali. E' in questo bacino piuttosto ampio che si riscontrano le differenze maggiori tra diverse tradizioni costruttive, ancora oggi non così comunicanti tra di loro.
Su questo fronte, mi spiace ribadirlo, l'Italia non è particolarmente all'avanguardia. Sembra che la proverbiale creatività nostrana abbia trovato una zona d'ombra nello sviluppo di nuove biciclette da città, da viaggio o comunque da "scelta filosofica di mobilità intelligente". Rare le proposte originali, poca la voglia di osare, troppa la ripetitività.
Fiutando le tracce sul web, è stato però molto significativo scoprire come in realtà non sia quella italiana una mancanza di idee stilistiche (e c'era da scommetterci!) ma una pianificazione commerciale che sembra orientare la scelta del consumatore su una gamma di disegni e soluzioni tecniche piuttosto compressa.
Per farla breve, se torniamo a parlare di Bianchi, mentre noi continuiamo a sciropparci le city-bike Spillo in tutti i loro restyling, guardate un po' in Giappone cosa propone la gloriosa fabbrica lombarda:
Questi sono quattro modelli Bianchi Minivelo, urbanissimi e molto vintage. Io li trovo semplicemente magnifici e vi invito a osservarli un po' più da vicino facendo una visitina al sito in salsa nipponica del nostro prestigioso marchio.
Sappiate fin d'ora che non sono gli unici articoli degni di nota. Troverete delle bici pieghevoli dal look aggressivo e anche una demi-course con telaio d'acciaio chiamata Ancora, tanto bella da poter quasi rivaleggiare con una Pashley Clubman Sport.
Quando l'ho vista ho quasi versato una lacrinuccia chiedendomi: "perchè a noi no?"
Lancio a questo punto un duplice appello.
1- Ai lettori chiedo di diffondere la segnalazione dell'esistenza di queste Bianchi in salsa wasabi affinché altri appassionati possano apprezzarle stupendosi dell'esistenza di un inaspettato giacimento di creatività.
2- Alla Bianchi avanzo la proposta che, qualora il raggiungimento di una massa critica decente imponga in futuro nuove scelte aziendali orientate al lancio italiano dei suddetti velocipedi, uno di questi mi venga donato senza indugio, in segno di amichevole gratitudine per la pionieristica attenzione dimostrata.
Uno speranzoso saluto a tutti.
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giovedì 20 settembre 2012
Nulla si distrugge, tutto si trasforma
Tutte le bici hanno diritto a una seconda vita. Questo è il mio verbo.
Con piccole modifiche o con ambiziosi progetti di rifunzionalizzazione qualunque ferro in disuso può essere riqualificato e diventare parte della vostra pelle.
Osservando i modelli che vi piacciono, affinando il gusto e lavorando con la fantasia la bicicletta dimenticata in cantina si trasformerà in un pezzo unico e irrinunciabile. Un oggetto a suo modo prezioso, se non altro perchè saprà parlare di voi.
Complice la crisi economica, sembra che la spinta al riuso stia crescendo anche in campo ciclistico fino a diventare tendenza. Certo la moda della biciclette a scatto fisso ha fatto la sua parte, evocando suggestioni e ticchettii armoniosi di un ciclismo che sembrava sepolto per sempre.
Chi ha avuto la saggezza, il sentimento e lo spazio per conservare con cura certe bici, oggi si trova per le mani un piccolo tesoro ed è giusto che sia così.
Ma, lo ripeto, qualunque velocipede può celare risorse sorprendenti. Bisogna solo osservare e lavorare con l'immaginazione, provando ad osare.
Guardate ad esempio questa "Santa Graziella Avvelenata". L'ho scoperta un paio di anni fa sul mirabile sito Movimento (fisso), piccolo scrigno di intelligenza creativa applicata alle due ruote. A tutti voi, cari lettori, ne consiglio la frequentazione.
Il telaio è stato trattato con il verderame (per questo è avvelenata), alcuni pezzi sono stati tagliati per ospitare due ruote da 26 pollici. Ciao freni e parafanghi.
Nuda e cruda: una Graziella sì, ma shekerata con componenti da pista per trasformarsi in una fixed gear davvero originale.
Ma la riprogettazione del vostro universo ciclistico non ha confini. Se non sono le scatto fisso a interessarvi passiamo pure oltre. Forse vi è rimasta in garage una bici da corsa che non è più né carne né pesce. Troppo giovane per essere vintage, troppo vecchia per essere race-super-comp-extra-pro-financo-cool.
Ebbene, cambiatene destinazione d'uso senza esitazioni. Aggiungete portapacchi e parafanghi, un po' di luci e un manubrio più comodo. Si può fare anche senza spendere un capitale. Se poi la ricerca dei pezzi necessari si dirotta sui mercatini dell'usato il divertimento diventa doppio. Io ci ho provato e ho ottenuto risultati inaspettati, capaci di far crescere la mia autostima.
Comunque per fornirvi uno dei tanti spunti possibili, date un'occhiata a questo video. Sull'argomento non potrò esimermi dal ritornare.
Con piccole modifiche o con ambiziosi progetti di rifunzionalizzazione qualunque ferro in disuso può essere riqualificato e diventare parte della vostra pelle.
Osservando i modelli che vi piacciono, affinando il gusto e lavorando con la fantasia la bicicletta dimenticata in cantina si trasformerà in un pezzo unico e irrinunciabile. Un oggetto a suo modo prezioso, se non altro perchè saprà parlare di voi.
Complice la crisi economica, sembra che la spinta al riuso stia crescendo anche in campo ciclistico fino a diventare tendenza. Certo la moda della biciclette a scatto fisso ha fatto la sua parte, evocando suggestioni e ticchettii armoniosi di un ciclismo che sembrava sepolto per sempre.
Chi ha avuto la saggezza, il sentimento e lo spazio per conservare con cura certe bici, oggi si trova per le mani un piccolo tesoro ed è giusto che sia così.
Ma, lo ripeto, qualunque velocipede può celare risorse sorprendenti. Bisogna solo osservare e lavorare con l'immaginazione, provando ad osare.
Guardate ad esempio questa "Santa Graziella Avvelenata". L'ho scoperta un paio di anni fa sul mirabile sito Movimento (fisso), piccolo scrigno di intelligenza creativa applicata alle due ruote. A tutti voi, cari lettori, ne consiglio la frequentazione.
Il telaio è stato trattato con il verderame (per questo è avvelenata), alcuni pezzi sono stati tagliati per ospitare due ruote da 26 pollici. Ciao freni e parafanghi.
Nuda e cruda: una Graziella sì, ma shekerata con componenti da pista per trasformarsi in una fixed gear davvero originale.
Ma la riprogettazione del vostro universo ciclistico non ha confini. Se non sono le scatto fisso a interessarvi passiamo pure oltre. Forse vi è rimasta in garage una bici da corsa che non è più né carne né pesce. Troppo giovane per essere vintage, troppo vecchia per essere race-super-comp-extra-pro-financo-cool.
Ebbene, cambiatene destinazione d'uso senza esitazioni. Aggiungete portapacchi e parafanghi, un po' di luci e un manubrio più comodo. Si può fare anche senza spendere un capitale. Se poi la ricerca dei pezzi necessari si dirotta sui mercatini dell'usato il divertimento diventa doppio. Io ci ho provato e ho ottenuto risultati inaspettati, capaci di far crescere la mia autostima.
Comunque per fornirvi uno dei tanti spunti possibili, date un'occhiata a questo video. Sull'argomento non potrò esimermi dal ritornare.
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giovedì 23 agosto 2012
Un airbag per i ciclisti: arriva il casco invisibile
E se il tuo prossimo casco non fosse in realtà...un casco?
Anna Haupt e Terese Alstin credo abbiamo dimostrato con questa loro invenzione cosa significa "pensare differente".
Loro sono due studentesse di design e il "casco invisibile" è il loro compito per un esame.
Basta con i ciclisti champignon. Ora le chiome fluenti tornano libere e casomai d'ora in poi si coprirà il collo.
Avete capito bene. La pensata svedese è quella di delegare ad un collare di stoffa la sicurezza in bicicletta.
Per la verità non c'è solo il lato sartoriale che, come è ovvio, servirebbe a poco.
All'interno del collare c'è molta tecnologia che, possiamo supporre, sia almeno in parte declinata da quella automobilistica.
Lo strumento di protezione è in effetti un vero e proprio airbag per ciclisti.
Per capire esattamente la portata dell'innovazione, guardate questo video di 3 minuti: è razionale ed affidabile, come ci deve attendere da qualunque cosa prodotta in Svezia.
Cerchiamo ora di lavorare con la fantasia.
Scenario 1: in città presto scatta la gara per sfoggiare il collare più cool ed elegante. Fresco di lana per l'estate dello stimato professionista, lana cotta per l'architetta fissata col bio, pelle e borchie per lo studente dall'anima rock. Il prossimo inverno poi, pare andrà molto la versione in pelliccia di muflone.
Scenario 2: il ciclismo agonistico aderisce con entusiasmo e saluta i vecchi caschi. In una tappa torrida di metà luglio il gruppo sgrana tra filari di girasoli e platani ombrosi. Gli spettatori meno aggiornati, a bocca aperta, si chiedono quale drammatico incidente abbia ridotto così i corridori. Mai visti tanti colpi della strega tutti in una volta.
Anna Haupt e Terese Alstin credo abbiamo dimostrato con questa loro invenzione cosa significa "pensare differente".
Loro sono due studentesse di design e il "casco invisibile" è il loro compito per un esame.
Basta con i ciclisti champignon. Ora le chiome fluenti tornano libere e casomai d'ora in poi si coprirà il collo.
Avete capito bene. La pensata svedese è quella di delegare ad un collare di stoffa la sicurezza in bicicletta.
Per la verità non c'è solo il lato sartoriale che, come è ovvio, servirebbe a poco.
All'interno del collare c'è molta tecnologia che, possiamo supporre, sia almeno in parte declinata da quella automobilistica.
Lo strumento di protezione è in effetti un vero e proprio airbag per ciclisti.
Per capire esattamente la portata dell'innovazione, guardate questo video di 3 minuti: è razionale ed affidabile, come ci deve attendere da qualunque cosa prodotta in Svezia.
Cerchiamo ora di lavorare con la fantasia.
Scenario 1: in città presto scatta la gara per sfoggiare il collare più cool ed elegante. Fresco di lana per l'estate dello stimato professionista, lana cotta per l'architetta fissata col bio, pelle e borchie per lo studente dall'anima rock. Il prossimo inverno poi, pare andrà molto la versione in pelliccia di muflone.
Scenario 2: il ciclismo agonistico aderisce con entusiasmo e saluta i vecchi caschi. In una tappa torrida di metà luglio il gruppo sgrana tra filari di girasoli e platani ombrosi. Gli spettatori meno aggiornati, a bocca aperta, si chiedono quale drammatico incidente abbia ridotto così i corridori. Mai visti tanti colpi della strega tutti in una volta.
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martedì 14 agosto 2012
Salsa Mukluk: bici & guacamole
E' Ferragosto, la spiaggia sabbiosa brulica di corpi madidi e di noioso torpore.
Anche quest'anno ti hanno fregato sventolandoti sotto gli occhi un last-minute balneare convenientissimo e tu hai accettato. Addio sentieri nel verde, addio mountain-bike, addio discese da brivido nel bosco.
E no, non può finire così la storia.
Puoi diventare il ras dei Bagni Premuda sfoderando questa scintillante Salsa Mukluk 2, pensata per galleggiare sulle superfici morbide come sabbia e neve.
Salsa è un marchio californiano che si distingue da anni per il suo stile personalissimo, sfornando biciclette di grande fascino. Una filosofia a parte, meno competition e più lifestyle. Confesso di esserne innamorato.
Difficilissimo trovarle in Italia per la verità, anche se esiste una regolare importazione. Con i loro nomi tex-mex (El Mariachi, Mamasita, Chili con Crosso, ecc.) e il look made in Guadalajara tutt'altro che ortodosso, ho l'impressione che passerà ancora del tempo prima che l'inamidato e convenzionale mercato nostrano inizi a capirle fino in fondo.
Resta il fatto che questa 29 pollici nota ai gringos come Mukluk, con le sue gomme ciccione Surly (altro marchio notevolissimo di cui prima o poi parleremo) e con il telaio in alluminio anodizzato per sconfiggere la corrosione di onde e ghiaccio è un prodotto quasi unico nel suo genere, che va oltre la semplice mountain-bike.
Già ti vedo allora, zigzagare tra lettini e ombrelloni, schivando l'obesona e la ragazzina coi baffi, rincorso dal bagnino sulla battigia sotto gli occhi ammaliati di quella bella tipa della sdraio 457.
Sullo sfondo un tramonto dorato e i titoli di coda.
Buon Ferragosto.
Anche quest'anno ti hanno fregato sventolandoti sotto gli occhi un last-minute balneare convenientissimo e tu hai accettato. Addio sentieri nel verde, addio mountain-bike, addio discese da brivido nel bosco.
E no, non può finire così la storia.
Puoi diventare il ras dei Bagni Premuda sfoderando questa scintillante Salsa Mukluk 2, pensata per galleggiare sulle superfici morbide come sabbia e neve.
Salsa è un marchio californiano che si distingue da anni per il suo stile personalissimo, sfornando biciclette di grande fascino. Una filosofia a parte, meno competition e più lifestyle. Confesso di esserne innamorato.
Difficilissimo trovarle in Italia per la verità, anche se esiste una regolare importazione. Con i loro nomi tex-mex (El Mariachi, Mamasita, Chili con Crosso, ecc.) e il look made in Guadalajara tutt'altro che ortodosso, ho l'impressione che passerà ancora del tempo prima che l'inamidato e convenzionale mercato nostrano inizi a capirle fino in fondo.
Resta il fatto che questa 29 pollici nota ai gringos come Mukluk, con le sue gomme ciccione Surly (altro marchio notevolissimo di cui prima o poi parleremo) e con il telaio in alluminio anodizzato per sconfiggere la corrosione di onde e ghiaccio è un prodotto quasi unico nel suo genere, che va oltre la semplice mountain-bike.
Già ti vedo allora, zigzagare tra lettini e ombrelloni, schivando l'obesona e la ragazzina coi baffi, rincorso dal bagnino sulla battigia sotto gli occhi ammaliati di quella bella tipa della sdraio 457.
Sullo sfondo un tramonto dorato e i titoli di coda.
Buon Ferragosto.
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lunedì 13 agosto 2012
Cicloturismo per famiglie: piccoli consigli pratici
Dichiaro sdoganata l'esperienza cicloturistica con la famiglia.
La sottilissima strategia messa a punto con il compagno di merende Paolo B. è stata studiata a tavolino nei minimi dettagli con l'obiettivo finale di inculcare il verbo della vacanza pedalifera a mugliere e infanti inermi.
Una passione, quella del cicloturismo, che personalmente avevo riposto da anni nel cassetto dopo le fugaci esperienze da ventenne.
Sull'entusiastica adesione dei bambini (undici anni in tre) Paolo ed io facevamo affidamento anche prima. Sapevamo per contro che avremmo potuto dover lottare contro eventuali subdole riserve avanzate dalle consorti.
Ebbene è andato tutto liscio. Merito dell'opzione entry-level su cui ci siamo buttati senza esitazione.
Or dunque, pedalatori con famiglia a carico, se anche voi state pensando di passare finalmente all'azione questi sono tre piccoli consigli che mi sento di portarvi, esortandovi a partire senza timori né timidezze.
Quindi se non siete d'accordo e se non avete paura della mia spietata censura fatevi avanti proponendo altre soluzioni di cicloturismo-per-famiglie-principianti.
La sottilissima strategia messa a punto con il compagno di merende Paolo B. è stata studiata a tavolino nei minimi dettagli con l'obiettivo finale di inculcare il verbo della vacanza pedalifera a mugliere e infanti inermi.
Una passione, quella del cicloturismo, che personalmente avevo riposto da anni nel cassetto dopo le fugaci esperienze da ventenne.
Sull'entusiastica adesione dei bambini (undici anni in tre) Paolo ed io facevamo affidamento anche prima. Sapevamo per contro che avremmo potuto dover lottare contro eventuali subdole riserve avanzate dalle consorti.
Ebbene è andato tutto liscio. Merito dell'opzione entry-level su cui ci siamo buttati senza esitazione.
Or dunque, pedalatori con famiglia a carico, se anche voi state pensando di passare finalmente all'azione questi sono tre piccoli consigli che mi sento di portarvi, esortandovi a partire senza timori né timidezze.
- Per scoprire se il cicloturismo famigliare è la vostra dimensione di viaggio appoggiatevi per la prima volta a un tour operator specializzato, in grado di fornirvi il servizio di trasporto dei bagagli da hotel a hotel, l'itinerario di massima su cui muoversi e l'eventuale noleggio delle attrezzature in loco. Se così vi sembra troppo facile, ricordate che avete dei bambini con voi e con loro non si improvvisa.
- Cercate di ragionare con la testa del meno allenato del gruppo. Lo so, sareste disposti a spararvi 100 km al giorno ma se ci pensate bene 40 sono già una bella conquista se tutti si divertono.
- Giocate d'anticipo e nei borsoni laterali della bicicletta caricate prima di tutto il buon senso. La pioggia e il freddo sono il potenziale nemico e possono sorprendervi anche in piena estate. Fondamentale è poi non rimanere in riserva dal punto di vista dell'alimentazione quindi borracce (anche in surplus) e un po' di cibo devono esserci sempre. Questo sembrerà un suggerimento banale ma è più facile di quanto non sembri trovarsi a secco in mezzo alla campagna, anche con una buona road-map cartacea in pugno. Ah, e non dimenticate a casa il vostro coltellino tascabile, sennò pane e companatico come li affettate?
Quindi se non siete d'accordo e se non avete paura della mia spietata censura fatevi avanti proponendo altre soluzioni di cicloturismo-per-famiglie-principianti.
lunedì 6 agosto 2012
A Cheverny tutto bene
Se vi va, su Twitter trovate il diario di viaggio fotografico. Mi trovate così: @ciclopico.
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venerdì 3 agosto 2012
Partiti!
Qui Amboise.
Prende il via ufficialmente il tour cicloturistico lungo la Loira, tra castelli e campagna dolcissima.
Avendo condotto fin qui la famigliola, e trattandosi della prima esperienza allargata anche a loro, si tratta di un entry-level. Ma non vedo perché non andarne orgoglioso visto che sono coinvolti due bimbi di 3 e di 6 anni.
Caricato il più piccolo su un affidabile carretto in alluminio Chariot, per la più grandicella ho optato per la locazione di un tandem di fabbricazione olandese, che ho preferito al più consueto cammellino.
La prima uscita mi é parsa decisamente positiva. Avrete presto qualche nuovo aggiornamento e, se ci riesco, anche un contributo fotografico.
Prende il via ufficialmente il tour cicloturistico lungo la Loira, tra castelli e campagna dolcissima.
Avendo condotto fin qui la famigliola, e trattandosi della prima esperienza allargata anche a loro, si tratta di un entry-level. Ma non vedo perché non andarne orgoglioso visto che sono coinvolti due bimbi di 3 e di 6 anni.
Caricato il più piccolo su un affidabile carretto in alluminio Chariot, per la più grandicella ho optato per la locazione di un tandem di fabbricazione olandese, che ho preferito al più consueto cammellino.
La prima uscita mi é parsa decisamente positiva. Avrete presto qualche nuovo aggiornamento e, se ci riesco, anche un contributo fotografico.
lunedì 30 luglio 2012
Finalmente una vacanza cicloturistica
Alla fine ce l'ho fatta...
Settimane di silenzio sul mio blog non significano abbandono e sfiducia dilagante bensì ciclismo militante, perdindirindina!
Con calma vi illustrerò nelle prossime settimane qualche retroscena del Tour de France. Sono stato per un caso fortunoso nel sottoscala del ciclismo che conta e vi fornirò le prove.
Ora però c'è un'altra importante scadenza. Per la prima volta affronto con tutta la famigliola un'esperienza cicloturistica di una settimana. Meta: castelli della Loira.
Proverò a diventare per qualche giorno un mobile blogger. E se tutto va bene (ma soprattutto se è di vostro interesse) potrete leggere qualche aggiornamento direttamente da qui.
Avanti e pedalare...
Settimane di silenzio sul mio blog non significano abbandono e sfiducia dilagante bensì ciclismo militante, perdindirindina!
Con calma vi illustrerò nelle prossime settimane qualche retroscena del Tour de France. Sono stato per un caso fortunoso nel sottoscala del ciclismo che conta e vi fornirò le prove.
Ora però c'è un'altra importante scadenza. Per la prima volta affronto con tutta la famigliola un'esperienza cicloturistica di una settimana. Meta: castelli della Loira.
Proverò a diventare per qualche giorno un mobile blogger. E se tutto va bene (ma soprattutto se è di vostro interesse) potrete leggere qualche aggiornamento direttamente da qui.
Avanti e pedalare...
lunedì 7 maggio 2012
La doppia vita di Bradley Wiggins
"Eppure quella faccia io l'ho già vista" continuavo a ripetermi guardando Bradley Wiggins trionfante al recente Giro di Romandia 2012. Quel viso simpatico da inglesone e quella capigliatura da spaventapasseri, oltre ad essere così diversi da certi look un po' omologati, avevano qualcosa di famigliare ma proprio non ricordavo cosa.
Poi ho rivisto un vecchio film e ho capito tutto.
Avete presente quella commedia di successo nella quale una star del cinema impersonata da Julia Roberts flirta con il ragazzo comune Hugh Grant? Già è proprio Notting Hill. Ebbene, fate mente locale e cercate di ricordare chi era il personaggio più divertente di quella pellicola. Come no! Il compagno d'appartamento del protagonista, l'improbabile e sconclusionato Ike, interpretato da colui che fino ad oggi abbiamo conosciuto con il nome molto gallese di Rhys Ifans.
Ma in realtà si trattava di Bradley Wiggins e ve lo dimostro.
Per un sacco di tempo è riuscito a dissimulare, alternandosi con disinvoltura fra le due ruote e la settima arte. Un giorno lo vedevi al Tour come Wiggins, poi compariva in "Harry Potter" come Ifans. Vinceva la Parigi-Nizza con i colori della Sky e intanto finiva di girare il nuovo episodio della saga di Spider Man. Un anglosassone eclettico, camaleontico fin che si vuole ma pur sempre con un evidente tallone d'achille: il suo parrucchiere personale.
Continuerà a far finta di nulla saltellando come un leprotto tra le sue due identità o presto ammetterà il suo segreto con un teatrale coming out? Mentre il dubbio rimane, ecco un altro indizio lampante: la camminata del ciclista anchilosato (notare la bicicletta da corsa appoggiata sul muro a destra).
Poi ho rivisto un vecchio film e ho capito tutto.
Avete presente quella commedia di successo nella quale una star del cinema impersonata da Julia Roberts flirta con il ragazzo comune Hugh Grant? Già è proprio Notting Hill. Ebbene, fate mente locale e cercate di ricordare chi era il personaggio più divertente di quella pellicola. Come no! Il compagno d'appartamento del protagonista, l'improbabile e sconclusionato Ike, interpretato da colui che fino ad oggi abbiamo conosciuto con il nome molto gallese di Rhys Ifans.
Ma in realtà si trattava di Bradley Wiggins e ve lo dimostro.
Per un sacco di tempo è riuscito a dissimulare, alternandosi con disinvoltura fra le due ruote e la settima arte. Un giorno lo vedevi al Tour come Wiggins, poi compariva in "Harry Potter" come Ifans. Vinceva la Parigi-Nizza con i colori della Sky e intanto finiva di girare il nuovo episodio della saga di Spider Man. Un anglosassone eclettico, camaleontico fin che si vuole ma pur sempre con un evidente tallone d'achille: il suo parrucchiere personale.
Continuerà a far finta di nulla saltellando come un leprotto tra le sue due identità o presto ammetterà il suo segreto con un teatrale coming out? Mentre il dubbio rimane, ecco un altro indizio lampante: la camminata del ciclista anchilosato (notare la bicicletta da corsa appoggiata sul muro a destra).
domenica 6 maggio 2012
Tak Danmark!
Non voglio fare l'esterofilo a tutti i costi. Tuttavia mi preme sottolinearvi questo breve promo lanciato sul web dall'ente turistico della Danimarca in occasione della partenza del Giro d'Italia da Herning. Chi vive in simbiosi con la bicicletta tutto l'anno non ci poteva deludere. D'altronde si sa, nessuno come i danesi sa promuovere le bellezze del Belpaese. Sigh...
sabato 21 aprile 2012
Bici da città belle...e italiane!
Non è così facile trovare biciclette da città originali sul mercato nostrano, tantopiù trovarle con marchio italiano. Quella delle "urban" in Italia è la fascia di mercato più grigia e noiosa quanto a proposte nonostante, a ben vedere, rimanga uno dei segmenti di vendita più significativi.
L'offerta è nella maggior parte dei casi livellata verso il basso e sono proprio pochi i sussulti d'innovazione provenienti dalle nostre aziende, alle quali non mancherebbe certo la creatività per concepire prodotti accattivanti ma che, per strategia o per poco coraggio, concentrano gli investimenti in sviluppo quasi unicamente su corsa e mtb, decidendo tuttalpiù di cavalcare qualche fenomeno più o meno temporaneo, come quello delle bici a scatto fisso.
Tra coloro che fanno eccezione e sanno oggi proporre city-bike attente al design della tradizione ma moderne nei particolari, va senz'altro citata la Chesini.
Storico marchio veronese fondato nel 1925, Chesini ha consolidato la propria presenza nel corso dei decenni mantenendo la propria impostazione famigliare. Dopo avere allargato le proprie attività durante gli anni del boom economico, curando ad esempio l'assistenza per le macchine da cucire Singer, col tempo l'azienda è tornata a concentrarsi sulla sua unica vera mission: fare biciclette belle.
Le bici da corsa Chesini hanno vinto mondiali dilettanti e juniores ma, come si diceva, è sulle city-bike che che in questo caso ci vogliamo concentrare.
Guardate quanto è bella questa Tramvai...
L'offerta è nella maggior parte dei casi livellata verso il basso e sono proprio pochi i sussulti d'innovazione provenienti dalle nostre aziende, alle quali non mancherebbe certo la creatività per concepire prodotti accattivanti ma che, per strategia o per poco coraggio, concentrano gli investimenti in sviluppo quasi unicamente su corsa e mtb, decidendo tuttalpiù di cavalcare qualche fenomeno più o meno temporaneo, come quello delle bici a scatto fisso.
Tra coloro che fanno eccezione e sanno oggi proporre city-bike attente al design della tradizione ma moderne nei particolari, va senz'altro citata la Chesini.
Storico marchio veronese fondato nel 1925, Chesini ha consolidato la propria presenza nel corso dei decenni mantenendo la propria impostazione famigliare. Dopo avere allargato le proprie attività durante gli anni del boom economico, curando ad esempio l'assistenza per le macchine da cucire Singer, col tempo l'azienda è tornata a concentrarsi sulla sua unica vera mission: fare biciclette belle.
Le bici da corsa Chesini hanno vinto mondiali dilettanti e juniores ma, come si diceva, è sulle city-bike che che in questo caso ci vogliamo concentrare.
Guardate quanto è bella questa Tramvai...
e questa Torpedo Black.
Disegni al passo con le migliori urban viste nel nord Europa, senza trascurare quel tocco italiano che sarebbe ora di tornare ad esaltare anche nel sottovaluto mercato delle bici da città. Viva Chesini!
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martedì 20 marzo 2012
Giardinieri in bicicletta
La primavera è ufficialmente tra noi. Spuntano le tenere erbe, si colorano i primi fiori.
Profumi, sensazioni, voglia di reinventarsi e di scoprirsi più sensibili.
Bella roba davvero. Aspettate qualche settimana e vi sorprenderete a stramaledire le vostre sconsiderate ambizioni botaniche, razza di incoscienti. Avete voluto la villetta con il giardino? E allora è questo il destino che vi meritate e che vi attende già dai prossimi weekend: spaccarsi la schiena per cercare di governare l'infestante tripudio della natura. Altro che romanticismo e vita all'aria aperta. C'è da potare, da rastrellare, financo da mettere a dimora nuove pianticine pronte a divenire la vostra schiavitù in un batter di ciglia.
Sacrificherete il vostro prezioso tempo da dedicare alla bicicletta? Fatevi due conti e vedete se potete permettervi un giardiniere, salvaguardando le sospirate pedalate.
Certo, se solo foste abitanti del Quebec potreste perlomeno confrontarvi con professionisti sensibili a questo genere di disagi. Gente raffinata come quella di Les Jardiniers à Bicyclette, una piccola rete di manutentori del verde che, per voto o convinzione, non utilizza alcuna attrezzatura motorizzata per espletare i lavori della terra.
I loro carrelli customizzati, attaccati al velocipede, trasportano più di 300 kilogrammi di materiale. In campo aperto poi, nessun decespugliatore o soffiatore di foglie a motore. Nella policy aziendale non è chiarito se l'utilizzo di surrogati elettrici sia ammesso. In caso contrario, immagino che la manutenzione ordinaria di un giardino possa durare giorni e giorni. Quindi, nel caso siate interessati, ricordate sempre la prima regola: il lavoro va contrattato a corpo e non a ore. Per non rischiare di dover a breve impegnare la vostra bicicletta.
Profumi, sensazioni, voglia di reinventarsi e di scoprirsi più sensibili.
Bella roba davvero. Aspettate qualche settimana e vi sorprenderete a stramaledire le vostre sconsiderate ambizioni botaniche, razza di incoscienti. Avete voluto la villetta con il giardino? E allora è questo il destino che vi meritate e che vi attende già dai prossimi weekend: spaccarsi la schiena per cercare di governare l'infestante tripudio della natura. Altro che romanticismo e vita all'aria aperta. C'è da potare, da rastrellare, financo da mettere a dimora nuove pianticine pronte a divenire la vostra schiavitù in un batter di ciglia.
Sacrificherete il vostro prezioso tempo da dedicare alla bicicletta? Fatevi due conti e vedete se potete permettervi un giardiniere, salvaguardando le sospirate pedalate.
Certo, se solo foste abitanti del Quebec potreste perlomeno confrontarvi con professionisti sensibili a questo genere di disagi. Gente raffinata come quella di Les Jardiniers à Bicyclette, una piccola rete di manutentori del verde che, per voto o convinzione, non utilizza alcuna attrezzatura motorizzata per espletare i lavori della terra.
I loro carrelli customizzati, attaccati al velocipede, trasportano più di 300 kilogrammi di materiale. In campo aperto poi, nessun decespugliatore o soffiatore di foglie a motore. Nella policy aziendale non è chiarito se l'utilizzo di surrogati elettrici sia ammesso. In caso contrario, immagino che la manutenzione ordinaria di un giardino possa durare giorni e giorni. Quindi, nel caso siate interessati, ricordate sempre la prima regola: il lavoro va contrattato a corpo e non a ore. Per non rischiare di dover a breve impegnare la vostra bicicletta.
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martedì 13 marzo 2012
L'Eroica: il ciclismo è suggestione
Il ciclismo di marzo è un po' come il ritorno ai sensi dopo le rigidità invernali. C'è voglia di tornare sui pedali con il fisico ma anche facendo pensieri e sognando piccoli grandi momenti di estasi sportiva che verranno più in là nei mesi.
Tra questi, per chi vive la bicicletta con una precisa filosofia, da anni figura al top l'Eroica.
L'evento non ha bisogno di presentazioni né di pubblicità, visto che i 3.000 pettorali andranno esauriti in pochi giorni. Trovo tuttavia doveroso sottolineare anche da qui i pregi di una manifestazione capace di miscelare con grande buon gusto le bellezze dei luoghi con la passione pacata e romantica per la bicicletta che fu.
Quest'anno si corre il 7 ottobre, come sempre con ritrovo di partenza a Gaiole in Chianti.
Non starò qui a raccontarvi i dettagli del regolamento, che molti conoscono e che è comunque reperibile sul sito della manifestazione. Vorrei semmai proporvi la suggestione di questa festa per gli occhi e per lo spirito sportivo.
Tra i tanti filmati disponibili in rete ho scelto quello prodotto dalla Brooks, marchio che di ciclismo retrò se ne intende e che da tempo ha fiutato l'enorme potenziale di questo appuntamento ciclistico fuori dal comune.
Tra questi, per chi vive la bicicletta con una precisa filosofia, da anni figura al top l'Eroica.
L'evento non ha bisogno di presentazioni né di pubblicità, visto che i 3.000 pettorali andranno esauriti in pochi giorni. Trovo tuttavia doveroso sottolineare anche da qui i pregi di una manifestazione capace di miscelare con grande buon gusto le bellezze dei luoghi con la passione pacata e romantica per la bicicletta che fu.
Quest'anno si corre il 7 ottobre, come sempre con ritrovo di partenza a Gaiole in Chianti.
Non starò qui a raccontarvi i dettagli del regolamento, che molti conoscono e che è comunque reperibile sul sito della manifestazione. Vorrei semmai proporvi la suggestione di questa festa per gli occhi e per lo spirito sportivo.
Tra i tanti filmati disponibili in rete ho scelto quello prodotto dalla Brooks, marchio che di ciclismo retrò se ne intende e che da tempo ha fiutato l'enorme potenziale di questo appuntamento ciclistico fuori dal comune.
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giovedì 1 marzo 2012
A Lucio
cosa sara' che ci fa lasciare
la bicicletta sul muro
e camminare la sera con un amico
a parlare del futuro
la bicicletta sul muro
e camminare la sera con un amico
a parlare del futuro
LUCIO DALLA
1943 - 2012
martedì 7 febbraio 2012
Keith Anderson e il piacere per gli occhi
Anziché sfogliare il giornale per vedere che c'è in tivù, perchè stasera non vi premiate gustandovi un catalogo di squisita e purissima arte moderna?
Versatevi un buon bicchiere di vermouth e rilassatevi godendo della magnificenza prodotta da Keith Anderson.
Non so dirvi molto su di lui se non che vive in Oregon come molti altri bravi artigiani del pedale e che si tratta di uno sprayer di alto livello, ossia un verniciatore coi baffi in grado di effettuare restauri da farvi rimanere letteralmente a bocca aperta.
Il vecchio Keith da alcuni anni è diventato anche un costruttore. Che sia un tipo precisino e visionario lo si capisce da questa bicicletta che strizza l'occhio a certe moto custom.
La cura dei dettagli sembra maniacale e quella vernice Tahitian Blue poi...
Il pezzo vale 7.500 dollari. Se volete farvi avanti, potete contattare il suo papà direttamente.
Ah, dimenticavo. Tenete presente che nel prezzo è compresa anche la tesserina di carbonio che rende "motorizzata" questa stupenda bici. Ve la ricordate la cartolina di Bordighera che da piccoli fissavate con la molletta al vostro telaio? Brum, brum!
Versatevi un buon bicchiere di vermouth e rilassatevi godendo della magnificenza prodotta da Keith Anderson.
Non so dirvi molto su di lui se non che vive in Oregon come molti altri bravi artigiani del pedale e che si tratta di uno sprayer di alto livello, ossia un verniciatore coi baffi in grado di effettuare restauri da farvi rimanere letteralmente a bocca aperta.
Il vecchio Keith da alcuni anni è diventato anche un costruttore. Che sia un tipo precisino e visionario lo si capisce da questa bicicletta che strizza l'occhio a certe moto custom.
La cura dei dettagli sembra maniacale e quella vernice Tahitian Blue poi...
Il pezzo vale 7.500 dollari. Se volete farvi avanti, potete contattare il suo papà direttamente.
Ah, dimenticavo. Tenete presente che nel prezzo è compresa anche la tesserina di carbonio che rende "motorizzata" questa stupenda bici. Ve la ricordate la cartolina di Bordighera che da piccoli fissavate con la molletta al vostro telaio? Brum, brum!
Etichette:
Keith Anderson,
telai artigianali,
verniciatura
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